Era solo un dono.
Cosi calmo e nudo,
da non essere riconosciuto.
La mia mano forte,
agitata,
cospirava contro ogni suo spazio.
Vergine.
Fragile.
A volte,
il gesto diventava memoria
o sete.
Un desiderio.
Un grande nulla che riempiva tutto.
Con colori meraviglia chiari.
Io,
involontario testimone di me stesso,
rimanevo fuori a volte,
a guardare,
a pregare in silenzio il silenzio,
per spaventare lacrime,
e attendere lontano la morte.
Furono forse parole sprecate,
quelle dette in segreto,
per inventare un sogno,
o qualche musica di notte.
Furono miei,
ogni rabbia,
ogni sorriso,
ogni corpo in tramonto.
Ma non c’è più tempo,
fra queste mani
ancora vuote.
***
Non avrei saputo,
forse,
come nominarlo,
questo dono illusorio e magico.
L' amore invece,
lo chiamo amore…
Daniel Castro A.
Venecia, Italia.
12.4.13